domenica 31 agosto 2014

venezia / giorno quattro e cinque: al festival del cinema nuovo di Gorgonzola

Il giorno 4 lavoro quasi tutto il giorno, ma riesco lo stesso a trovare un buco per incastrarci Manglehorn (in concorso) e vedere ancora una volta Al Pacino. David Gordon Green è un buon regista (a me era piaciuto molto soprattutto Prince Avalanche) che qui però gira in folle, anche per colpa di una sceneggiattura inconcludente e impalpabile. Si salvano solo la fotografia (in parte) e la colonna sonora che -come in Prince Avalanche- è degli Explosions in the sky (anche se in queste condizioni diventa piuttosto didascalica). Ruolo importante per il regista Harmory Korine (che sembra giocare con il suo ultimo Spring Breakers).


il giorno successivo (oggi) è la volta dell'imbarazzante Hungry hearts, un capolavoro di comicità involontaria di Saverio Costanzo con l'immancabile (in un film italiano che voglia dirsi d'essai) Alba Rohrwacher: un dramma thriller familiare con una regia che si addice a uno studente un po' pretenzioso di 18 anni con una morbosa passione per la sua ultima nuova scoperta: il fisheye. Dialoghi completamente risibili, musiche cliché, regia che non sa dove andare a parare. su 109 minuti 103 sono di troppo (la prima scena prima dei titoli d'inizio è carina). un film che non ha nessun senso produrre (girato a New York per giunta), girare, distribuire, né tantomeno selezionare in un festival che non sia il festival del cinema nuovo di Gorgonzola. Qualcuno (ben pagato, spero) applaude alla fine, molti se ne vanno durante.
Pare giocarsela per bruttezza con La vita oscena di De Maria (anche se questo sembra inarrivabile, dicono) e con il francese 3 coeurs (nonostante il rigoglioso casting: Charlotte Gainsbourg, Lea Seydoux, Chatherine Deneuve e Chiara Mastroianni). 

spero di vedere qualcosa di meglio in serata, anche se purtroppo temo non riuscirò a vedere l'atteso Belluscone una storia siciliana di Maresco.

sabato 30 agosto 2014

venezia / giorno due e tre: in cantina

Essendo qui più che altro a lavorare purtroppo riesco a vedere solo pochi film. Il giorno due ho visto solo un documentario, alle 22.00 in una sala Darsena drammaticamente vuota.  Era un po' uno dei film che aspettavo da tempo (per il regista ma anche perché mi interessano molto le cantine - giuro). Il film è questo:

Im Keller (in the basement) di Urlich Seidl che, reduce dalla trilogia di Paradise, realizza un film che è un po' un saggio delle sue tematiche e della sua poetica (che molti sbolognano come "provocatoria" -c'è certamente anche quello). E' un documentario (molto messo in scena, ma qui è necessario) sulla cantina come luogo (fisico e simbolico) dove nascondere o contenere le proprie perversioni, la parte più intima e più grottesca di sé. Nessuna musica, una bellissima fotografia che rende iperrealistiche le immagini: la prima parte è nettamente superiore alla seconda, dove le perversioni sessuali hanno il totale sopravvento (alcuni frangenti non sono così semplici da vedere, tipo: un guardiano teatrale cui piace sentirsi sessualmente dominato che lecca water, doccia, e altre simpatiche cose e a un certo punto viene sollevato per le palle, letteralmente, dalla propria mistress. e mi fermo qui). almeno due personaggi però rimangono ben impressi: un ex cantante lirico che in catina va a tenersi in allenamento con le armi da fuoco e un nostalgico nazista che usa la cantina per suonare strumenti a fiato e vedersi con gli amici. La seconda parte a me, personalmente, ha un po' stancato, forse perché la più smaccatamente provocatrice e quella in cui Seidl sembra divertirsi di pù a fare il Seidl.  Vi lascio qualche immagine (fotograficamente il film non perde un colpo) e QUI una bella recensione dell'Hollywood reporter.





Voci di corridoio (italiane e non) lodano in coro l'italiano Anime nere di Francesco Munzi, mentre il nuovo film di Xavier Beauvois Le rancon de la gloire sembra aver diviso in due tutti: ai più snob -quasi tutti francesi- è sembrato essere piuttosto commerciale e inutile, ad altri invece (perlopiù italiani, spagnoli e latinoamericani) è vagamente piaciuto. Non lo consiglierei in ogni caso.
il terzo giorno vedo la commediola di Peter Bogdanovich She's funny that way (fuori concorso): un omaggio alla screwball comedy (sin dai titoli), prodotta da Wes Anderson e Noah Baumbach, con un cast che recita sopra le righe ma che diverte (doppiato il film rischia di diventare un cinepanettone leggermente evoluto) nonostante la mole di coincidenze e le falle di sceneggiatura. Il personaggio di Owen Wilson sembra scritto per Woody Allen (cui infatti sembrava spettare la regia fino a un certo punto). L'avessi visto su un computer e doppiato avrei probabilmente abbandonato dopo mezz'ora ma in una sala Darsena (seppur mezza vuota, ancora) che applaude alle battute e ride di gusto tutta all'unisono è stato un piacere. Cameo ndivertente di Quentin Tarantino nel finale.

alla sera sono un po' stanco per la giornata piena ma provo lo stesso a vedere The Humbling di Barry Levinson (dormirò solo 10 minuti). E' tradizione mia e di Jon andare a vedere un film per Al Pacino, e anche questo anno non ne restiamo delusi. Basato su un romanzo di Philip Roth dalla trama simile a Birdman mescolato con una specie di Lolita, il film poggia sulle solide spalle di Al Pacino (che spazia da monologhi alla shakespeare con voce gutturale a bofonchiamenti comici nella sala d'attesa di un veterinario) e di Greta Gerwig (se riuscite recuperate Frances-Ha, a proposito). Come nel caso precedente sarà invedibile doppiato. Niente di ecclatante in ogni caso, ma essendo arrivato a film inziato mi sono dovuto sedere nella prima fila all'estrema destra dello schermo per cui non ero nelle condizioni ideali per giudicare molti aspetti: rimando alla recensione del Variety.

mercoledì 27 agosto 2014

venezia / giorno uno: The look of silence - Realité

Eccomi nel caldo afoso di Venezia.
Anche in sala c'è un'aria torrida, tollerabile nella rinnovatissima -ed enorme- Sala Darsena (quasi "bella" e anche molto elegante, tutta in grigio), al limite del sopportabile nella piccola Sala Volpi. Per la prima volta il Lido non è così gremito di gente, anche se -dicono- da domani si popolerà esponenzialmente.

parto dalle voci di corridoio. sono voci molto fidate (e competenti) per cui le prendo per vere. alcune vengono da Paula (ex direttrice della cineteca messicana), altre da Raymond (direttore del cinema Rialto, Amsterdam), oltre che il mio solito amico Jon (quindi pressoché inappuntabili).

Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu (che si scrive con accenti vari che non so dove andare a prendere). ecco il TRAILER
Il film d'apertura (in concorso) vede uno straordinario Michael Keaton (concordano tutti) alle prese con una storia che sembra ispirata a se stesso (Birdman=Batman) e che tira dentro Raymond Carver. Una serie di piani sequenza ottimamente calibrati e un'ottima prima parte (concordano tutti) non salvano una seconda parte che pecca di "pretentiousness", "come quasi tutti i suoi film" (concordano e concordo - nessuno è un grande amante del messicano...).

La vita oscena di Renato de Maria è di gran lunga il film più schifato dai miei amici stranieri (qui il miglior modo di giudicare un film italiano è fidarsi dei pareri stranieri: quelli italiani ne stemperano sempre la bruttezza). i pochi che sono entrati a vederlo (molti per sbaglio) lo sbolognano in fretta tanta è la pochezza in gioco (pare). non muoio (confessione personale) dalla voglia di vedere un film di De Maria perdipiù basato su un libro di Aldo Nove. incontro anche un critico italiano: mi dà ragione (e lui l'ha visto).

invece ho visto (e mi sono piaciuti entrambi parecchio)

The look of silence di Joshua Oppenheimer (in concorso). Documentario nato da una costola (ben sviluppata poi in modo a sé stante) del bellissimo The act of killing, ma che segue una linea narrativa più semplice e tradizionale: la ricerca della verità sull'uccisione del fratello vittima del genocidio indonesiano, diventa per il protagonista (che fa l'oculista e vuole vederci chiaro ma soprattutto far vedere meglio gli altri) un viaggio nella banalità ma soprattutto nell'omertà e accettazione drammatica del Male. Molto bello, alcune scene sono molto toccanti e potenti, è ben montato, senza musiche, e con una bellissima fotografia (qua e là non così richiesta e un po' stona), forse è troppa la messa in scena di alcune parti per essere duro come dovrebbe: ecco, se c'è una critica da fare è che è troppo estetizzante in alcuni momenti (anche qui concordiamo tutti: oggi andiamo abbastanza d'accordo, pare). In ogni caso vivamente consigliato.


Reality di Quentin Dupieux (orizzonti). Mi viene consigliato da un ragazzo francese, e io mi fido anche perché non ho mai visto niente del delirante regista conosciuto anche come Mr. Oizo (e compositore di musica elettronica oltre che regista). Sulla strada per la proiezione incontro tre persone che non si conoscono che lo hanno visto da poco e mi dicono (li incontro in momenti diversi) tutti la stessa cosa: "it's weird". sarà anche strano (avevano proprio ragione: "strano" è l'aggettivo giusto) ma ci diverte molto ed è fresco, nuovo, libero: un gioco di scatole cinesi che non si prende mai sul serio, anzi. 
trama: Un cameraman di una trasmissione tv decide di fare un film sci-fi in cui i televisori spappolano il cervello degli umani. Il produttore gli dice che ok, ti do i soldi, ma solo a patto che il film contenga un gemito così pazzesco da meritare l'oscar. Il regista va alla ricerca dell'urlo perfetto mentre sullo schermo la storia si intesse in modo sempre più fuori-di-testa con 
1) un film thriller (in apparenza) di un (geniale?) regista che frequenta lo stesso strambo produttore del protagonista regista-cameramen
2) i suoi incubi (suoi del regista-cameraman) 
3) i suoi incubi (suoi del conduttore della trasmissione tv per cui lavora il regista-cameraman) e la sua ipocondriaca paura di un eczema cutaneo
4) i loro incubi (loro un po' di tutti, soprattutto del preside della bambina del film thriller del regista geniale) 
5) un eczema mentale diffuso tra tutti, anche gli spettatori. 
un gioco sulla visione, sul cinema, sulle storie, un inception sconnesso e costruito come una commedia surreale dai toni sospesi. un casino divertente, insomma. spero verrà distribuito, merita. il regista presenta così il suo film:

Tre anni fa stavo dirigendo Rubber, il mio secondo lungometraggio, con un pneumatico nel ruolo principale. Mi piaceva molto l’idea di sostituire l’attore con un oggetto animato, più facile da dirigere e meno esigente di un essere umano. Purtroppo non avevo niente in comune con questo pneumatico, che sul set era sgradevole e completamente passivo. Da Wrong in poi, sono stato costretto a lavorare di nuovo con persone reali e da allora non ho smesso di apprezzarlo. Nel 2012 ho girato due film a Los Angeles (grazie a Grégory Bernard e alla Realitism Films). Il primo è Wrong Cops. Questo film è sporco, stupido e semplice. Il secondo, Reality, è integro, intelligente e intricato. Al momento entrambi sono in fase di montaggio. Sono i migliori film che abbia mai realizzato. (da “Les Cahiers du Cinéma”, gennaio 2013)

ps Ah, "Realité", il titolo, è anche il nome della protagonista del film thriller nel film, giusto per incasinare ulteriormente il tutto. e la colonna sonora del film riprende un bellissimo album di Philip Glass, QUESTO