mercoledì 15 febbraio 2012

berlinale / giorno sei


eccoci nello storico cinema delphi, antico, affascinante e vicino allo zoo, a vedere spanien (spain) di anja salomonowitz (presente in sala), film austriaco che ci spaventa a leggere la sinossi (per inciso: tutte le sinossi sembrano redatte in modo da incutere timore e dare la quasi certezza che qualsivoglia film sarà invedibile) ma che ci stupisce fin dai primi minuti. tre storie, tra il noir romantico e il dramma sospeso, si intrecciano in una struttura scritta in modo impeccabile, che orchestra flashback camuffati da presente e presenti camuffati da flashback, per risolversi in un finale circolare, inaspettato e ben risolto. la lentezza è compensata da una scrittura attenta ai personaggi, da qualche scena comica, dalla bravura degli attori e da una regia che alterna movimenti avvolgenti (talvolta acrobatici ma senza far percepire troppo la presenza della macchina da presa) a lunghe pause statiche.

il kino international è il cinema storico della zona est, in quella che era stalin alley e che oggi è karl marx alley: qui si svolgevano le serata di gala e le première dei film prima della caduta del muro. è un grosso cubo con piedistallo, entrambi di cemento, da fuori sembra enorme da ma la sala è tutto sommato piccola, con luccicanti tende d'argento. grandissime vetrate di fianco al bar e di fronte all'ingresso della sala, danno sulla strada dove ci fermeremo a bere una birra entro 40 minuti. sì, nel senso che il film, cherry (di stephen elliott, ahimè presente in sala) non è solo banalmente orrendo e artisticamente nullo, ma non è nemmeno un buon film per teenager in un multiplex. il tentativo è quello di esplorare la sessualità della superbellissimissima protagonista (che scopriremo poi essere un'ex modella di abercrombie e si vede, eccome) e il suo ingresso innocente nel mondo della pornografia. il risultato è una puntata di dawson's creek mal scritta con scene softcore ridicole e miele a chili. io e boris non reggiamo, dopo 40 minuti usciamo, per una volta è davvero il caso di dire "indignati" , e guardiamo la pioggia mista a neve scendere di fronte alle vetrate del kino international ripensando alle videocamere nascoste nei nidi di picchi, nei tronchi, negli annaffiatoi, e i registratori audio a controllo remoto installati sui termos, negli orologi, dentro le cravatte. non è che siamo impazziti (e la birra è solo una), ma è che nella mattina siamo stati nel museo della stasi. (per la cronaca: gli altri rimasti in sala reggeranno solo 15 minuti in più di noi).


non è un granché come finale ma questo è il mio ultimo film alla berlinale.


lunedì 13 febbraio 2012

berlinale / giorno cinque

eccoci a l'enfant d'en haut (sister) di ursula meier. la prima mezzora è a dir poco eccellente, poi la trama precipita in modo grottesco, con una sindrome da soap-opera ("lei non è mia sorella ma è mia mamma" e cose del genere) trascinando con sé anche i personaggi. eccellente la fotografia e l'ambientazione alpina, pessima l'inutile colonna sonora.

jayne mansfield's car di billy bob thornton è una commedia un po' tirata per le lunghe: se durasse 50 minuti in meno e venissero tagliati tutti i discorsi più seri e patetici (specialmente sulla guerra) sarebbe un buon film, una commediola ben recitata (Duvall sopra tutti)con alcuni dialoghi (comici) scritti in modo impeccabile, con una colonna sonora (a tratti invasiva) piacevole e un'ottima fotografia.

Jin líng Shi San Chai (flowers of war) è un polpettone cinese ispirato a una storia vera avvenuta nel 1937, durante la guerra tra cina e giappone. zhang yimou (regista de la foresta dei pugnali volanti, hero, lanterne rosse) realizza un film storico di 141 minuti che regge dignitosamente solo la prima mezzora, da lì in poi il film è "così brutto da esserci piaciuto" (cito la frase con cui motiviamo il fatto di essere rimasti in sala): non bastano due scene girate con (indubbia) maestria da yimou a salvare il film dallo scadere nel più imbarazzante comico involontario visto finora.



domenica 12 febbraio 2012

berlinale / giorno quattro

marina abramovic, the artist is present è un documentario emotivamente coinvolgente, perfetto nello spiegare il lavoro della abramovic a chi già non lo conoscesse ma piacevole anche per un pubblico piú esperto grazie alle confessioni e ai dialoghi con l'artista. larghissimo spazio é lasciato all'incredibile performance del MoMa del 2010 (da cui il titolo stesso del film), in cui la abramovic seduta su una sedia per tutto il giorno (orari della mostra) per 3 mesi (6 giorni alla settimana) ha guardato negli occhi chiunque avesse voluto sedersi di fronte a lei. un ritratto emotivo sotto forma (tradizionale ma funzionale) di documentario.


retrospettiva: selezione di cortometraggi d'animazione sovietici, tra cui Senka-afrikanez (Senka the African, 1928), Blek end uait (Black and White, 1932), Budem sorki (Let's Be Attentive!, 1927), Prikljutschenija kitajtschat (Adventures of the Little Chinese, 1928), Katok (Skating Rink, 1926). in realtà è più il valore storico che non il piacere della visione (nonostante la pianista dal vivo e il tutto esaurito). la presentazione del direttore dell'archivio russo è molto interessante. aneddoto: a stalin piacevano solo i film d'animazione di walt disney quindi ha forzato la produzione di corti che copiassero quello stile.

berlinale / giorno tre

eccoci a cesare deve morire, dei fratelli taviani. sul palco del teatro all'interno del carcere romano di massima sicurezza di rebibbia si consuma l'ultimo atto del “giulio cesare” di shakespeare. poi le porte del carcere si richiudono, i detenuti-attori rientrano nelle loro celle.
flashback, sei mesi prima: il casting e le prove hanno inizio, mentre si va assottigliando sempre piú la linea che separa realtà e finzione. l'aderenza dei carcerati (alcuni bravissimi altri così così) ai personaggi avveniene con naturalezza (e potenza), alcune battute stimolano ricordi dolorosi, altre sono particolarmente sentite. mymovies dice "non era necessario. Shakespeare aveva già splendidamente ottenuto il risultato." a chi è con me il film piace molto, a me piace ma non convince del tutto. la vita dei detenuti non è messa a fuoco se non per qualche lampo di ricordo personale che però viene inevitalmente corrotto dalla presenza della macchina da presa e dal contrastato bianco e nero della fotografia: il rischio è che anche questi momenti di toccante sincerità (in teoria) si trasformino in scene (troppo) costruite.


okraina di boris barnet, stesso regista del bellissimo the girl with the hatbox di ieri, è troppo politicamente ridondante e il personaggi sono troppi. l'audio della pur dignitosa copia restaurata va a intermittenza, così abbandoniamo la proiezione prima della fine.

sezione panorama, fon tok kuen fah (headshot), film thailandese di Pen-Ek Ratanaruang, è un noir piuttosto particolare, che alterna momenti di violenza, pause riflessive (generalmente sulla naturale ingiustizia dell'umanità) e visioni al contrario, nel senso che il protagonista, ex poliziotto-poi carcerato(ingiustamente)-poi killer-poi monaco, dopo un colpo di pistola in testa si sveglia vedendo la realtà sottosopra, nel senso letterale del termine. è un p0' troppo "troppo" tutta la storia e va a sfaldarsi piano piano, anche se regia, fotografia e montaggio sono più che dignitosi.

venerdì 10 febbraio 2012

berlinale / giorno due

intrufolamento di successo.
entro a vedere solotoje osero (the golden lake), film del 1935 di un regista che non ho mai nemmeno sentito nominare (né saprei ripronunciare): Wladimir Schnejderow.

l'introduzione al film viene fatta da uno dei due curatori della retrospettiva, ed è ricca di aneddoti. Wladimir Schnejderow è una sorta di werner herzog ante litteram. è un regista perlopiù di documentari (the golden lake è il suo primo film di finzione) un po' folli: ha realizzato il primo film mai girato in sud arabia, idem nello yemen, ha girato un documentario sul primo volo della tratta mosca-tokyo (considerato talmente pericoloso che nessuno voleva essere ingaggiato nella troupe - ha dovuto lavorare da solo) e uno nel polo sud, dove ha rischiato di annegare.

solotoje osero è tutto sommato un film anche trascurabile. molto retorico, pomposo, ridondante (più volte gli stessi spezzoni vengono utilizzati-riutilizzati-ririutilizzati in momento diversi). le scene con gli attori sono talvolta girate in modo grossolano, con errori di ripresa e una recitazione quasi grottesca. quando l'eroe buono, dopo aver legato i cattivi a dei tronchi di betulla da lui precedentemente spezzati con una piccola ascia, trova anche le pepite d'oro (ovvero ciò che ha scatenato tutto il pandemonio cui il film ruota attorno) i tre cattivi gli dicono "ce l'hai fatta, ora sei anche ricco", lui prontamente ribatte fiero (gonfiando visibilmente il petto come si vede fare solo nei galli in pollaio - e notando che nel primo piano semba anche più pettinato che nel campo lungo) "questo oro non farà ricco me, ma il mio paese". lato strano invece è che la bella di turno, mariska, sia sempre lasciata da sola a saltare dai tronchi, a nuotare nelle rapide, a slegarsi dai lacci, a lottare con i cattivi, però quando alla fine sta per scendere da una comoda canoa, l'eroe protagonista non vuole che si bagni i piedi, la prende in braccio e la guarda mentre il sole splende alto nel cielo. (menzione d'onore va alle scene in cui infuria l'incendio nella foresta attorno al lago -per la cronaca era stata incendiata da uno sciamano colto da improvvise visioni-, la sensazione qui è -e presumibilmente è vera- che abbiano davvero incendiato parte di una foresta per fare quelle scene...). merita praticamente solo per i paesaggi in cui è ambientato (la fotografia è a tratti molto suggestiva).


Dewuschka s korobkoi (the girl with the hat box) di boris barnet è invece una commedia (muta) semplicemente stupenda, divertente, e incredibilmente moderna (ho esagerato? fa un certo effetto la sala esaurita e le risate che scoppiano fragorose in un film poco conosciuto, pur di un grande regista, in una retrospettiva): come concordiamo tutti -di 5 nazioni diverse - "the artist è già molto più datato di questo film". calcolando che il film di barnet è del 1927, la visione di questo piccolo capolavoro (nato su commissione per promuovere la vendita dei biglietti della lotteria statale) -specialmente in copia restaurata e accompagnata dal perfetto commento musicale live di gabriel thibaudeau al pianoforte- ha qualcosa di magico. tutto è perfetto: regia, (splendida) fotografia, scrittura, fino alle performance di tutti gli attori ( da scoprire o riscoprire Anna Sten e Wladimir Fogel, morto a 27 anni, incredibilmente espressivo e comico -nel senso alto del termine-, sopra tutti. ma anche l'ultima delle comparse sembra far esplodere il proprio talento).


insomma c'è piaciuto. ci ripromettiamo di vedere altri film di barnet, ma domani puntiamo a una giornata di visioni più "contemporanee", in senso ovviamente solo cronologico: come mi dice gabriel thibaudeau mentre mi complimento con lui per l'accompagnamento "i film belli come questo non hanno tempo." ovvietà forse, ma a volte fa bene ricordarselo.

giovedì 9 febbraio 2012

berlinale / giorno uno (anzi mezzo)


va bene, freddo fa freddo. tutte le proiezioni erano al completo, senza posti per il pubblico con il mio accredito -che ho già capito essere l'ultimo della lista-.
quindi niente film d'apertura e niente chess fever di Pudovkin (tutto esaurito, anche per la retrospettiva). quindi ho poco da dire sui film.
approdo a berlino alle 11.00 insieme a Darryl, un nostro amico che arriva direttamente dai 30 gradi di johannesburg (qui meno 14), dove possiede e gestisce il più "vecchio" cinema d'essai. il più vecchio cinema d'essai di johannesburg ha 5 anni. ogni abitante di johannesburg quando deve decidere quale film andare a vedere ha una scelta di circa 4/5 film.
Darryl avrà 35anni, ha vissuto in taiwan, poi in canada ("nella parte che sembra il texas del canada"), poi è tornato in sudafrica, dove è nato.
poi arriva Boris che invece gestisce un cinema a Amiens. tutte le volte che mi vede incomincia a parlare di Kaurismaki. questa volta non fa eccezione. mi racconta di essere stato a Le Havre, alla prima del film, con tutto il cast. ha provato a parlare con Kaurismaki ma era impresa ardua: è stato ubriaco - Kaurismaki, non Boris - dal primo pomeriggio fino a notte inoltrata. ha giusto fatto in tempo a obbligare il suo distributore a dare il film anche al piccolo cinema in paese, non solo al grande cinema gaumont.
il piccolo cinema in paese ha incassato, per una volta, più soldi del grande gaumont. la gente ha preferito vederlo lì.

torniamo al festival, dove ho poi anche capito che è difficile riuscire a prendere i biglietti in tempo. ho avuto successo solo con una commedia della retrospettiva: deuschka s korobkoi (the girl with the hat box) di Boris Barnet, del 1927. lo vedo domani alle 19.00. spero poi di riuscire a intrufolarmi in qualche altra proiezione e a essere più reattivo nell'acquisto dei biglietti.

venerdì 3 febbraio 2012

berlinale2012 | prima della partenza

eccoci. tra cinque giorni approderò a berlino, destinazione festival del cinema.
fortuna vuole che in quei giorni sia prevista una certa “brezza”, dalla siberia.
c'è chi si è comprato tre paia di calze termiche e ha intenzione di mettersele tutte contemporaneamente, c'è chi ha comprato un thermos (per il caffè caldo), c'è chi ha comprato tre paia di calze termiche anche per il thermos.
starò lì cinque giorni (9-14) e per ora so solo poche cose del festival di quest’anno.

so che conto di vedere tre film al giorno.
so che il film d’apertura del festival sarà les adieux a la reine (di cui so soltanto che ricostruisce le ultime 48 ore di vita di maria antonietta) di benoît jacquot (di cui non ho mai visto un film e so solo che era l’aiuto regista di marguerite duras). so anche che non ci tengo troppo a vederlo.
so che mike leigh (regista di happy go lucky e another year, già al cineforum) è il presidente di una giuria con nomi importanti, tra cui asghar farhadi, regista di una separazione (a rho martedì 6 mercoledì 7 giovedì 8 marzo | ore 21.00, orso d’oro la scorsa edizione e oggi in gara per l’oscar al miglior film straniero), charlotte gainsbourg e françois ozon (regista di potiche, la bella statuina, già al cineforum).
so che l’unico film italiano in concorso (almeno credo) è cesare deve morire dei fratelli taviani, girato in carcere con i detenuti nella sezione di massima sicurezza di rebibbia.
so che ho solo un film che voglio assolutamente vedere, ed è death row di werner herzog. so anche che dura 188 min, e il thermos di caffè potrebbe venire utile.
e poi so della retrospettiva, cioè so che vorrei vederne parecchi film, anche se poi forse è più utile che io veda film più, diciamo, contemporanei.
quest'anno la retrospettiva è dedicata a una storica casa di produzione russo-tedesca, la Mezhrabpom-Film, soprannominata “fabbrica del sogno rosso”, frutto dell’incontro tra il comunista tedesco willi münzenberg e il produttore russo moisei aleinikov e istituita a mosca nel 1922, con una sede anche a Belino. è un esperimento oltre i confini nazionali che tra il 1922 e il 1936 ha prodotto attorno ai 600 film: quella che (dicono) è la prima pellicola di fantascienza, il primo film d’animazione sovietico, il primo film sonoro e il primo a colori (sempre sovietici). ora, probabilmente nessuno di questi film merita davvero l’aggettivo di “primo”, e il cinema d’animazione russo era già in stadio avanzato, nel 1922 (vale la pena ricordare, o scoprire, visto che molti suoi lavori si possono anche vedere su youtube, ladislas starevich – più esoticamente ‪"wladyslaw starewicz" ), ma resta il fatto che la Mezhrabpom-Film ha prodotto molti classici del cinema (più o meno politico), da la fine di san pietroburgo e tempeste sull’asia di vsevolod illarionovič pudovkin (esoticamente wsewolod pudowkin), la ragazza con la cappelliera (1927) di boris vasilyevich barnet (esoticissimamente Борис Васильевич Барнет) -ex boxeur professionista e grande regista di commedie- fino all’eccentrica pellicola di fantascienza aelita di jakov aleksandrovič protazanov (Яков Александрович Протазанов), che racconta di una rivoluzione su marte, il pianeta rosso per eccellenza: insomma, come è chiaro, la “fabbrica del sogno rosso” traeva ispirazione dalla rivoluzione russa in generale e dalle avanguardie artistiche sovietiche in particolare, e a hitler non sarebbe andata a genio, e infatti, una volta al potere, la chiuse e le fece riaprire, filo-regime, sotto l’altisonante nome di Prometheus. tre anni dopo anche stalin fece cambiare nome a quella parte di Mezhrabpom-film rimasta a mosca, che diventò quindi Soyuzdetfilm e iniziò a produrre film per bambini.

ecco: vedere un bel film di quell'epoca mentre fuori soffia la brezza siberiana mi sembra un buon programma. vedremo cosa riuscirò a fare e cercherò di tenervi aggiornati.
se vedete nel programma qualcosa di interessante e volete mandarmi in avanscoperta, scrivete pure nei commenti e se riesco lo incastro nella giornata e poi vi dico.
a presto.