mercoledì 26 ottobre 2011

sicuramente a rho li vedrete, forse

ecco alcune anticipazioni di pellicole che saranno sicuramente inseriti, a meno di impedimenti indipendenti dalla nostra volontà, nella prossima edizione di CIN&CITTA':

MIRACOLO A LE HAVRE di aki kaurismaki 
SCIALLA! STAI SERENO di francesco bruni

LA KRYPTONITE NELLA BORSA di ivan cotroneo
LE IDI DI MARZO di george clooney
MIDNIGHT IN PARIS di woody allen
EMOTIVI ANONIMI di jean-pierre ameris
UNA SEPARAZIONE di asghar faradi
DRIVE di nicolas winding refn
FAUST di alexander sokurov
ALMANYA - BENVENUTI IN GERMANIA di  yasemin samdereli
THE ARTIST di michel hazanavicius
J. EDGARD di clint eastwood
ROMANZO DI UNA STRAGE di marco tullio giordana
MAGNIFICA PRESENZA di ferzan ozpetek
THE IRON LADY di phyllida lloyd
LA SORGENTE DELL'AMORE di radu mihaileanu
LA CHIAVE DI SARA di gillet paquet-brenner
 
per oggi può bastare, poi ci sono dei forse e dei probabili
MARIGOLD HOTEL di john maddenCOSA PIOVE DAL CIELO di sebastian borensztein
HYSTERIA di tanya wexler


martedì 18 ottobre 2011

questa settimana a Rho: Danis Tanovic e Cirkus Columbia

La guerra nella ex Yugoslavia continua a rappresentare una sorta di tabù cinematografico.

Più che raccontarla in modo diretto, se ne rappresenta il pre o il post, le si dà una forma come documentario o docu-fiction, la si mette al centro di una pellicola irreale, una sarabanda metaforica come Underground di Kusturica, o un film tragi-comico come No Man's Land, con cui lo stesso Tanovic esordì, si fece conoscere al mondo e vinse l'Oscar per il miglior film straniero. E Tanovic ha continuato a girarci intorno, alla guerra, la 'sua' guerra, che ha vissuto per i primi due anni, come cine-reporter al seguito dell'esercito serbo-bosniaco.

Dopo il primo film, ha diretto uno degli episodi di 11.'09."01, 11 settembre 2001, ed è tornato a occuparsi della guerra mettendone in scena le conseguenze (del conflitto turco-kurdo, n questo caso) in Triage, diretto dopo la parentesi non molto fortunata di L'enfer (un film basato su una sceneggiatura di Kieslowski). Cirkus Columbia rappresenta un ritorno a casa e un ritorno al ricordo dei momenti che precedettero l'esplosione del conflitto nella ex Yugoslavia. Anche in questo caso Tanovic preferisce mantenersi su un livello non realistico, sfoderando un senso di leggero umorismo che pervade il film.

Tutta questa leggerezza, però, l'andamento e i personaggi che sanno un po' di favola, finiscono per far sorgere un dubbio, che diviene quasi la sigla del film nel finale.
Che significato ha il paradosso? Di che cosa sa? Come può coesistere infatti la commedia sentimentale, la piccola vicenda privata che coinvolge due donne, tre uomini e un gatto, sullo sfondo di un remoto e ameno villaggetto, con la nozione sempre più presente di un tragico conflitto che sta per esplodere? E' davvero sereno il cielo nel quale si stanno per levare i fumi delle bombe? Cos'è allora, il film di Tanovic? Una grottesca presa in giro dei suoi futili personaggi? Una non troppo velata allusione alla miopia con cui le persone attente solo al proprio tornaconto producono un destino fatale per tutti? O un omaggio affettuoso a ciò che è stato perduto, ai tempi della convivenza fra le diverse etnie nello stesso Stato, unito al ricordo, che è anche un monito, dell'inconsapevolezza con cui quasi tutti, a quei tempi, si dirigevano verso il disastro più totale? E che cosa prevale, in quel finale? L'amore o la morte?
A voi la sentenza!

dagli Incontri del cinema d'essai - Mantova 11-13 ottobre

con Paola siamo andate a vedere che cosa gli incontri della Fice proponessero quest'anno in anteprima: il programma era molto ricco, impossibile seguirlo tutto. Abbiamo visto qualcosa di sicuramente buono, che credo finirà nel calendario del cineforum, ma anche una quantità di brutture al limite dell'inguardabile.
Cominciamo da un film così così:

La prima mattinata si apre con Moneyball, o L'arte di vincere, diretto da Bennet Miller e basato sull'omonimo best-seller di Michael Lewis. Mi chiedo come si possa pensare che un film simile funzioni in Italia. Certo, Clint Eastwood è riuscito, nel 2009, ad andar bene al botteghino con un film sul rugby. Ma era Clint Eastwood, aveva Matt Damon e Morgan Freeman, ed era anche un film sui momenti gioiosi e gloriosi della fine dell'apartheid. Bruttino, comunque. Ma Bennet Miller? Chi si ricorda che Miller ha già diretto un peraltro discreto film, Capote? Quasi nessuno, credo. Chi andrà a vedere un suo film sul baseball? Basterà il fatto che il protagonista sia interpretato da Brad Pitt? Temo di no. E non me ne dispiaccio. Il film è il solito polpettone denso di emozioni giocate sui temi consueti, il denaro, la sconfitta, la vittoria, l'autostima, e ancora la sconfitta, la perseveranza, la vittoria morale. Ma la prevedibilità della trama spicca in modo quasi grottesco quando si assiste, una dopo l'altra, a una serie di partite di un gioco così estraneo alla nostra cultura.

Poco dopo, ci spostiamo di sala per vedere Killer Joe, di William Friedkin, noto soprattutto per il suo storico horror, L'esorcista. A parte che la videoproiezione è bruttina a causa di luci-colori tarati male, la mano si nota, la regia è ottima, il film tiene ma... sarebbe stato meglio non voler scopiazzare Tarantino e Rodriguez, non voler fare uno splatter divertente e caustico senza saperlo fare fino in fondo. Perché alla fine manca qualcosa, che invece nei loro film c'è sempre: forse il senso, dato di solito dal sapore di una fin troppo giusta - anche perché estremamente fasulla - vendetta, forse la risata adrenalinicamente sfrenata che spesso ci sanno regalare, loro, i due veri e unici resuscitatori del grindhouse, exploitation o b-movie che dir si voglia.

Terza visione: dieci minuti di Quando la notte, di Cristina Comencini, dal suo omonimo romanzo ... sospendo il giudizio, perché dieci minuti son davvero troppo pochi ma ho avuto un'impressione così così, attori mal diretti, personaggi poco credibili, dialoghi che san di scritto più che di parlato e montaggio aritmico.

Finalmente arriva qualcosa di buono con Una separazione, diretto da Asghar Farhadi, già noto in Italia per About Elly (2009). Si riconfermano alcune qualità che sembrano tipiche di un certo cinema orientale o meglio mediorentale: la capacità di consegnare alle immagini uno sguardo esistenziale estremamente disincantato, ironico ma quasi mai cinico. Ed è questo che distingue, credo, questo Woody Allen iraniano dal vero Woody Allen o dal suo recente emulo Polanski (v. Carnage), nella comune rappresentazione delle parole come armi, come olio che unge le ruote dei conflitti. L'arguto pessimismo di Farhadi non scivola mai nella caricatura e non dimentica che chi vuole può sempre tentare di resistere. Ci sono film in cui anche parlando poco si dice già troppo. Qui si parla molto ma si dice il giusto, conducendo a poco a poco lo spettatore dentro l'evolversi di un teso intreccio di rapporti umani, spesso prevedibili, ripetitivi, guidati da paure e debolezze, ma anche inevitabilmente aperti al futuro e autentici nell'assenza di ogni moralismo.

Segue un altro film in cui il tema centrale è la 'separazione': è Il sentiero, diretto da Jasmila Zbanic. Inizia come una commedia, la vita semi-spensierata di una giovane coppia bosniaca dei nostri giorni, e procede con una tensione crescente che riporta i protagonisti da un lato verso il loro recente passato traumatico, di guerra e di morte, dall'altro verso due modi sempre più opposti di reagire e di intendere il futuro, uno del tutto integrato nella cultura europea d'occidente, l'altro in cerca di rinnovamento e sicurezza attraverso l'adesione a una comunità islamica integralista. In sottofondo, il problema dell'inseminazione artificiale. Sarebbe stata una bella storia, e a tratti riesce a far intravedere la Bosnia di oggi, la situazione complessa e difficile che attraversa. Purtroppo la regia è retorica, un eccesso di sorrisi e salamelecchi cede rapidamente a grugni duri e scontri frontali, i personaggi di contorno sono delle macchiette a volte imbarazzanti e si finisce per sperare in qualche momento di vera tragedia che blocchi la noia incipiente.

Almanya è uno dei film migliori dell'intera iniziativa. Diretto da Yasemin Sandereli, una regista tedesco-turca, ricorda per un pezzetto Baaria, per un altro Little miss Sunshine: le risate sono assicurate, ma non impediscono al film di avere una sua serietà, occhi divertiti ma anche ben aperti sulla storia. La vicenda centrale riguarda l'immigrazione turca in Germania, e mette in scena le contraddizioni e le reciproche incomprensioni dei due popoli, secondo luoghi tipici di un genere ormai ben rappresentato da film vecchi e nuovi, da East is East a Jalla-Jalla e molti altri. Anche Almanya tratta in particolare il tema dell'integrazione scegliendo un tono leggero, a volte spassoso, con quel misto di ironia e autoironia che solo le 'seconde generazioni', con il loro duplice bagaglio culturale, possono sfoderare così bene.

Shame: o del sesso come non l'avete mai visto, ma come forse non vorreste mai vederlo. E' questo il problema fondamentale del film. Ben diretto e ben interpretato, buono sotto tutti i punti di vista tecnici (salvo qualche riserva sulla sceneggiatura) e dotato di un suo stile visivo appropriato alle emozioni che vuole trasmettere, mette in scena la vicenda di un ninfomane e di sua sorella, una maniaca suicida, ma non riesce a coinvolgere lo spettatore. La reazione scandalizzata delle 'sciure' all'inizio mi ha indispettito, perché guardavano solo ai contenuti e non a come erano rappresentati. Ma alla fine non ho potuto dar loro torto fino in fondo. C'è qualcosa di buono e di nuovo nel modo di raccontare il sesso come ossessione solitaria, vissuta conflittualmente pur negli agi e nell'apparente libertà di costumi della grande mela, ma anche qualcosa di gratuito e di noioso, qualche scena di troppo, qualche prevedibilità in eccesso, che impedisce all'andazzo plumbeo e soffocante della storia di trasformarsi in un bel film. Diretto da Steve McQueen, con Michael Fassbender e Carey Mulligan, belli, bravi e imbruttiti.

Il resto alla prossima puntata!

venerdì 9 settembre 2011

venezia mostra del cinema | 9 settembre

h 9.00, Sala Darsena
Texas Killing Fields regia di Ami Canaan Mann
Decido di rimandare di qualche ora la partenza per vedermi il film (in concorso) della figlia di Michael Mann (qui produttore). Prima di lasciare l'isola di San Servolo dove soggiorno per il terzo anno consecutivo durante il festival del cinema, incontro Olivier, simpatico traduttore francese-tedesco-inglese nel corso CICAE. Il suo lavoro mi affascina e lui me lo racconta volentieri. Mi dice che spesso la parte più difficile di una traduzione sta nel capire cosa è interessante tradurre e cosa no. Spesso in un discorso ci sono momenti "drammaticamente irrilevanti". Dramaticaly irrelevant, dice. Ecco la definizione perfetta per il film che vedrò qualche minuto più tardi. Uno stanco thriller dalla stanca formula serial killer- detective - soluzione. Il tutto girato con regia e personaggi drammaticamente irrilevanti. trailer

conclusioni
Da tre giorni il Lido è semivuoto a conferma che, ogni anno di più, la gente (e sopratutto la stampa internazionale) si sposta al Toronto Film Festival non appena inzia, snobbando la seconda parte del festival del cinema di Venezia. Non a caso i film più di richiamo sono stati programmati nei primi 4, 5 giorni. Io e Jon, mio compagno di camera e di quasi tutte le proiezioni, concordiamo che il livello, in media, non è eccezionale, anzi. E a mancare sono soprattutto buone sceneggiature. I documentari proiettati sono in media scandalosamente amatoriali (e proiettati in dvd). Tecnicamente molti si sono lamentati. In un caso è saltato l'audio per 20 minuti (A Dangerous Method), in un altro ci sono state 4 interruzioni per alto voltaggio (Play), in altri puzza di brucio (senza che nessuno avvisasse di quanto stava succedendo) o sottotitoli fuori sincrono.
Dei film in concorso (almeno, per quelli che ho visto), i miei tre "preferiti" sono, nell'ordine: Faust,
Wuthering Height, Life without principle. In realtà Jon e molti altri con lui hanno odiato Faust, che ha spaccato in due pubblico e critica, così come aveva fatto (trovandomi però tra quelli contro) Shame (che ho come il presentimento che vincerà). La temperatura va salendo, alla fermata del vaporetto 20 i pesci morti vengono a galla in modo drammaticamente irrilevante per i taxi che si arrabattano come possono nella scarsità di persone cui offrire una corsa.

Venezia mostra del cinema | 8 settembre


h 19.30, Sala Darsena
Duo mingjin
(dyut ming gam) Life without a principle regia di Johnnie To
Il cinema (e i ganster) della Hong Kong di Johnnie To ai tempi della crisi economica. Tutto gira intorno al bisogno di soldi. Nessuna sparatoria, tocchi di humour nero, una regia attenta che regala il meglio nella seconda parte. La prima, un po' troppo parlata, serve a delineare i personaggi (e la situazione economica) destinati a intrecciare in qualche modo le loro vite attraverso il filo rosso dei soldi. Trai i migliori in concorso. trailer


h 21.30, Sala Pasinetti
La clé des champs
regia di Claude Nuridsany e Marie Perennou
C'è molto di autobiograficamente fiabesco in questo insolito film sulla storia della vita segreta che ruota attorno (e dentro) uno stag
no. In realtà la trame che coinvolgono gli "umani" (un bambino e una bambina) sono solo un pretesto per poter mostrare la magia degli animali (insetti anfibi pesci vanno per la maggiore) che popolano allo stesso tempo lo stagno e i sogni dei due protagonisti. Insetti che nuotano, libellule che si piegano in coreografie astratte, rane che si arrampicano, in un'unione di poesia e scienza: la parte più efficace è senza dubbio quella dell'osservazione del mondo animale (stupende le immagini realizzate dopo anni di ricerca e con tecnologie all'avanguardia, come già nei precedenti film del duo: Microcosmos e Genesis). Se non fosse per la storia dei due bambini e la voce narrante (da denuncia tanto è poeticamente insopportabile e ridondante), il film sarebbe perfetto.
I due registi, un tempo professori di biologia si dedicano da ormai più di quarant'anni allo studio dei fenomeni viventi.

mercoledì 7 settembre 2011

Venezia mostra del cinema | 7 settembre

h 8.30, Sala Volpi
Cuba in the age of Obama - part I regia Gianni Minà
Documentario giornalistico molto televisivo realizzato con pochi mezzi (e male, quasi in modo amatoriale) dal giornalista Gianni Minà che interroga vari personaggi, durante il suo viaggio in macchina, sulla Cuba di ieri e di oggi. Lungo (130', che potrebbero diventare tranquillamente 60'), troppa musica, mal girato, qualche spunto storico interessante. Da valutare come giornalismo più che come documentario. Domattina ci sarebbe la parte II. Ma può bastare così.

h 11.30, Sala Darsena
Hahithalfut (The exchange) regia Eran Kolirin
A tre anni dal riuscito e delicato La banda il regista israeliano propone una lenta commedia dal fine umorismo sull'alienazione che porta con sé l'abitudinarietà, sulla necessità di un cambiamento, anche surreale. Qualche scenetta divertente sboccia qua e là in una pellicola che "osserva" lentamente un percorso nel complesso poco coinvolgente e troppo lungo. Metà della sala, peraltro surrealisticamente semivuota, non si risparmia i BU finali.


h 19.30, Sala Darsena
Faust regia di Alexander Sokurov
Ultima parte della tetralogia sulla natura del potere da parte del regista russo Sokurov, Faust è un viaggio dantesco sotto la guida dal diavolo, alla scoperta dell'amore e dei mistero della vita (tra le tante cose). Altra ed estrema storia (come i precedenti passi della tetralogia) di un uomo che si vuole prendere responsabilità disumane. Ambientazioni e scenografie incredibilmente incisive, da cinema espressionista, con tanto di lenti deformanti alla Munch che rendono il film un lungo (140 minuti) e allucinato incubo
. Un film d'altri tempi (complici i viraggi desaturati di una fotografia in 4:3): barocco, visionario, molto parlato, raro. Qualcuno abbandona la sala, ma alla fine scrosciano applausi. Da vedere possibilmente dopo Moloch, Taurus, Il sole. Inutile dire che diventa il mio preferito. trailer



martedì 6 settembre 2011

Venezia mostra del cinema | 6 settembre

h 11.00, Sala Darsena

Wuthering heights regia di Andrea ArnoldIl romanzo di Emily Bronte diventa, nelle mani della regista britannica, una storia d'amore e di diversità di classe in cui la natura subentra come protagonista principale. E' un film sensoriale, fatto di terra, pioggia, insetti, rumori. Nessun commento musicale, pochi dialoghi (trascurabili e melodrammatici): i luoghi e i ricordi contano più della trama. Gli attori hanno l'accento della working class contemporanea, Heathcliff è di colore, nessun attore famoso, schermo (finalmente) in 4:3, fotografia curatissima, e la storia d'amore è raccontata senza nemmeno un bacio. Una ventina di minuti in meno non avrebbe tolto nulla al film, rendendolo più asciutto e concentrato: per ora forse il migliore in concorso (peccato che l'ultima parte e soprattutto la canzone finale facciano cadere un po' il livello).
trailer



h 14.30, Sala Perla
premessa: Artavazd Pelešjan è un regista armeno (nonché teorico del cinema) di documentari spesso definiti "poetici", che talvolta sfiorano il film sperimentale.Vremena goda / T'arva yeghanaknere (The seasons) regia di Artavazd Pelešjan, 1975Le stagioni della vita simboleggiate e rappresentate attraverso il lavoro dei pastori e dei coltivatori. vedi quiŽizn'/Kyanq (Life) regia di Artavazd Pelešjan, 1993Toccante e brevissimo (7'): i volti di donna colti nell'atto di partorire diventano metafora del mistero della vita. vedi quiil silenzio di Pelešjan regia di Pietro MarcelloDocumentario sul regista armeno e sul silenzio dei suoi film. Peccato che quello di Marcello (regista de La Bocca del lupo e Il passaggio della linea) sia invece parlato con una voce off retorica e pretenziosa. E sì che viene anche citata una frase di Pelešjan che dice: "Le parole sono un atto di violenza". Nessuna intervista, musica didascalica, materiale di repertorio montato in modo narcisisticamente creativo, non dicendo niente sul regista armeno ma molto su quello casertano, che sembra evitare di sfornare un documentario funzionale ma tradizionale, preferendo farne uno sperimentale ma autocelebrativo. Piacerà sicuramente a Ghezzi (presente in sala con Marcello e la produzione) e di conseguenza alla critica italiana, forse meno a Pelešjan (anche lui presente in sala).

h 19.30, Sala Darsena
People mountain people sea regia Cai ShangJun
E' il film a sorpresa, e la sorpresa raddoppia quando la proiezione viene interrotta a causa di una sinistra puzza di bruciato (interruzione di 30 minuti e regista in sala preoccupato perchè pensa che tutti stiano abbandonando la proiezione a causa del film). People Mountain people sea è lentissimo e molti ne approfittano effettivamente per abbandonare la sala. E' un noir ridotto all'osso, la storia di un uomo alla ricerca dell'assassino del fratello minore (una discesa agli inferi -che culminano in una miniera sotterranea-). Fotografia splendida, pochi movimenti di macchina, poca credibilità di sceneggiatura, livello bassino di empatia con personaggio e storia.

lunedì 5 settembre 2011

Venezia mostra del cinema | 5 settembre

h 9.00, Sala DarsenaTinkler, tailor, soldier, spy regia Tomas AlfredsonSpy story tratta da La Talpa di Le Carré. Dopo il bellissimo Lasciami entrare, lo svedese Alfredson gira un film più tradizionale: una produzione inglese con star internazionali (Colin Firth, Gary Oldman, John Hurt). Il risultato è nettamente inferiore al film precedente pur nell’estrema eleganza della regia: questa volta lo svedese non riesce a trascendere il genere e ne offre solo una stanca riproposizione; la colpa è anche di una sceneggiatura verbosa dai meccanismi a volte inutilmente contorti. trailer



h.15.00, Sala PasinettiPlay regia di Ruben OestlundFilm svedese (basato sui dossier della polizia) che analizza il potenziale devastante del rapporto ragazzi / società. Il tema è, alla fin fine, il bullismo.La regia tenta una strada di pulizia estrema: le inquadrature lungo tutto il film (124’), sono meno di 40. Gli attori (spesso ragazzi giovanissimi) sono orchestrati in modo perfetto, andando a dettare i tempi come a teatro vista la pressoché totale mancanza di un montaggio convenzionale. La camera si muove 3 volte in tutto il film. È uno dei film scelti dal parlamento europeo per le tematiche affrontate (bullismo – rapporto tra i giovani – immigrazione – razzismo – violenza). trailer


h 19.00, Sala PerlaI’m Carolyn Parker: the good, the mad and the beautiful regia Jonathan DemmeCarolyn Parker è una donna di colore che si è sempre battuta (e continua a farlo) per i suoi diritti. Anche dopo che l’uragano Katrina ha distrutto metà della sua casa, la sua lotta per il diritto a vivere dignitosamente continua. Agiografia in forma di documentario del regista de Il silenzio degli innocenti. Peccato che la storia, potenzialmente interessante, sia devastata da una regia poco interessata a quello che racconta. Il montaggio è di cattivo gusto e le riprese sono a dir poco “amatoriali”. teaser



h 22.15, Sala GrandeDark Horse regia di Todd SolondzIl dark humour del regista americano (presente in sala con un sobrio completino color rosa pesca e gli occhiali verde militare) continua imperterrito sulla stessa linea dei film precedenti (Life during wartime, Happyness e Palindromi – tutti migliori di Dark Horse-). Questa volta la storia è solo una: parte in quinta ma poi piano piano diventa sempre più onirica e fiacca. trailer

domenica 4 settembre 2011

Venezia mostra del cinema | 4 settembre


h 9.00, Sala Darsena
Shame regia Steve McQueen
opera seconda dell’atteso ex artista contemporaneo datosi al cinema Steve McQueen che questa volta cicca completamente il bersaglio con una storia di un uomo ossessionato dal sesso (si capisce più dalle sinossi) e dal suo rapporto sostanzialmente insensato con la sorella cantante jazz. Il tentativo dovrebbe essere quello di mostrare come il corpo e i suoi impulsi rappresentino una prigione da cui non si può sfuggire. Ma ognuno sembra reagire in modo, diciamo,“poco lucido” (nonostante tutto ciò sembra essere il favorito per tutti, qui). Ancora buona la prova (come attore principale) di Michael Fassbender.


h 11.00, Sala Darsena
Terraferma regia Emanuele Crialese
La storia di una famiglia di pescatori alle prese con l’arrivo dei barconi di immigrati svela lo scontro tra le leggi del mare non scritte (non si lascia morire nessuno in mare) e quelle dello stato (mai accogliere a bordo un clandestino altrimenti si diventa perseguibili). Al di là di qualche elemento stereotipato e qualche estremizzazione (i turisti “del nord” sono dipinti come esseri incapaci di intendere e volere, lo zio del protagonista è grottesco, i poliziotti sono tutti cattivi e così via) il film coinvolge; splendida fotografia, buoni gli attori che parlano principalmente in dialetto, e alcune scene di forte impatto visivo. Troppa musica, del resto il film gioca molto sullo stimolare le emozioni.

Venezia mostra del cinema | 3 settembre


h 9.00, PalaBiennale
A Dangerous Method regia David Cronenberg
il film, interessante e coinvolgente nonostante la presenza di Keira Knightley, è un affresco ben congeniato dei rapporti lavorativi (e personali) tra Freud e Jung. La sceneggiatura, ispirata al carteggio tra i due, imprime un buon ritmo a un film insolitamente (e forse eccessivamente) parlato (per essere Cronenberg; ma i suoi temi -violenza sesso psicologia- sono tutti ben presenti). Eccellenti gli attori maschi. Ottimi Michael Fassbender (Jung), Viggo Mortensen (Freud -a tratti estremamente divertente-), un Vincent Cassel che, nella parte del playboy Otto, alleggerisce i toni e insinua dubbi sul senso della fedeltà.


h 11.30, Sala Darsena
Poulex aux prunes regia Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud.
i registi di Persepolis, alle prese con un film ibrido tra commedia dal vero (85%) e parti animate (il restante 15%), tendono forse a essere eccessivamente melensi, toccando numerosi stereotipi e avvicinandosi pericolosamente a un film stile Jeunet. Alcuni momenti di vertiginose cadute di stile, altri di affascinanti animazioni stile Persepolis. Ancora una volta è ispirato a un libro della Satrapi.


h 11.30, Sala Darsena
Wilde Salome regia Al Pacino
documentario sulla passione di Pacino per Oscar Wilde che segue tre livelli:
1) le prove e alcuni spezzoni di uno spettacolo teatrale sulla Salome’ (Pacino recita)
2) un film sullo stesso tema (Pacino recita e dirige)
3) il backstage di entrambi (Pacino recita, dirige e si confessa).
Insomma il documentario si fonda su
1) Al Pacino
2) Oscar Wilde: la storia della sua vita è intrecciata ai fili del film.
Godibile anche grazie a un'eccellente Jessica Chastain, già ammirata in The tree of life.

Venezia mostra del cinema | 2 settembre


Venezia, ore 16.30
Arrivo in tempo per perdermi ogni “replica” del film di Polanski, Carnage: tutti quelli che incontrerò si dichiareranno entusiasti del film. Chi più chi meno. Chi in italiano chi in altre lingue. Ambientato quasi tutto in una casa, a quanto pare è una commedia divertente, ben diretta e recitata. Tutti concordano.

E’ chiaro sin da subito che vedere un film (e quindi godere dell'aria condizionata) è anche l’unico modo di sfuggire all’umidità uterina che rende appiccicoso qualsiasi elemento sfiori la pelle.
h 19.30, Sala Darsena
Alpis (Alps) regia di Yorgos Lanthimos
Il regista di Dogtooth (che non ho visto ma che tutti dicono essere molto bello) spacca da subito in due fazioni il pubblico. La realtà è che un quinto degli spettatori abbandona la sala prima della fine. È un film strano, talmente irrealistico da diventare alla lunga poco coinvolgente, nonostante l’idea di base sia buona: una sorta di setta di cinici (ogni membro ha il nome di una cima delle Alpi) alleva ragazze (due) che possano sostituire eventuali familiari morti assorbendone le caratteristiche, per rendere meno dolorosa una perdita. Il gioco è svelato, nel senso che viene chiesto espressamente “vuoi che prenda il posto della persona X morta, così ti renderò meno doloroso un nuovo inizio?”. I familiari accettano e pagano un salario (dopo quattro incontri gratuiti). La fotografia, spesso volutamente fuori fuoco, è molto ben curata e insolita, un po’ troppo indecisa tra il voler essere simmetrica e stabile e invece traballante e rozza. Il film, come sento dire all’uscita, è 80 min troppo lungo di quanto dovrebbe. In totale dura 93 minuti.