venerdì 24 ottobre 2008

asti - giornate fice

copio e incollo queste brevi recensioni scritte da paola dopo le giornate FICE 2008, e da me pienamente condivise:
primo film delle giornate è the burning plain di guillermo arriaga, sceneggiatore di inarritu. i primi venti minuti, ancora ancora, passano nel tentativo di riconoscere kim basinger (rifatta come non mai) e di capire la struttura a flash-back multipli del film. riconosciuta la basinger, capita la struttura rimane la noia prevedibile e mortale con cui ci si trascina verso il finale risolto da infiniti retorici sguardi alla finestra e un incredibile e sempliciotto sorriso della solita bella e tormentata charlize theron (a quando un ruolo diverso?).
il secondo, baby love di vincent garenq, commediola gay-friendly sul desiderio di paternità di un quarantenne benestante, divertente, ma si dimentica in fretta.
il terzo, rachel getting married con cui jonathan demme torna decisamente a piacermi, bravi gli attori, interessanti i movimenti di macchina, bellissime debra winger e rosemarie dewitt, ben usata la musica e i musicisti.
il quarto e ultimo film del primo giorno, slumdog millionaire di danny boyle, girato un po' come un documentario, un po' come un film onirico, a tratti molto bello, a tratti molto noioso e stiloso, non so: sicuramente non incasserà, a meno di un lancio a cura di gerry scotti, mah

alle recensioni di paola aggiungo: forse se arriaga ora fa il regista, c'è qualche speranza che inarritu diriga film veramente propri - chè la stoffa non gli mancherebbe, ma finora qualcosa non aveva funzionato, e ora credo o spero di avere capito che cosa: se ho ragione, forse da solo farà film meno estetizzanti e più significativi. eppure, ahimè, il film di arriaga può piacere, storia intensa, scenari paesistici stupendi, scavo psicologico... ma non fatevi abbindolare! i pezzi sono messi insieme con furbizia.

quanto a demme, il suo è uno dei due film migliori della rassegna, guarda caso di due grandi registi affermati e anzi stagionati, ma che sanno rinnovarsi più che bene. mescola un po' di stile dogma, camera a mano traballante, tagli stretti, quel certo documentarismo asciutto e assillante che trovi anche nei dardenne e che ti fa sentire davvero parte della scena, magari anche un po' a disagio, così voyeur infilato fra le pieghe di una storia che all'inizio sembra troppo personale, troppo altrui. e invece, a poco a poco, diventa anche tua, diventa di tutti, sei sulla giostra e giri con gli altri, seza perdere un colpo.

il giorno dopo segue il secondo miglior film, happy-go-lucky – la felicità porta fortuna di mike leigh improvvisamente leggero, anzi no, chè attraverso gli sguardi della protagonista, una bizzarra maestra elementare allegra, ironica e socievole fino all'antipatia, guardi un mondo tutt'altro che pacificato. guardi il mondo, lo vedi per quello che è, faticoso, pieno di piccole e grandi violenze e chiusure difficili da giudicare, disorientante. eppure apprezzi, se lei non ti sta troppo sul culo come è capitato a stefano, quella prospettiva amorosa, capace di tenere insieme i pezzi dell'esistenza.

e ancora la banda bader-meinhoff di uli edel, come dice paola molto tedesco, più coerente de La meglio gioventù, altrettanto interessante come documento di informazione sulla storia recente, ma con analoghi difetti. l'interpretazione, ah, l'interpretazione della storia, che guaio, quando si tenta di mescolare film e documentario, strutture narrative tradizionali e nudi fatti. impresa non facile, molto rischiosa. e qui si nota, come ne venga fuori un ibrido un po' pasticciato di nudi fatti e psicologia, come a volte il film si barcameni sul filo del politically correct e finisca per essere scontato alla maniera di una fiction qualunque, come ci sia un po' troppo di tutto, come emerga l'invenzione di uno sviluppo psicologico dei personaggi non ben motivato, come il mito faccia parte del racconto invece di esserne tenuto ben distinto. lo distingue bene, invece, dentro la storia, uno dei personaggi migliori, quello interpretato da Bruno Ganz.

ancora brevi commenti da paola
lezione 21 di alessandro baricco: film visivo, poetico, didattico, da vedere; un po' greenaway, un po' kubrick, molto baricco (credo); il più bello delle giornate.
il secondo, the visitor di thomas mccarthy: etico, statico, americano da sundance, dal fascino orientale, donne bellissime, lieto fine vietato, di questi tempi si sa è così che va.
il terzo, choke (soffocare) di clark gregg: ancora più sundance, ancora più america intellettuale, ancora più noia, nonostante anjelica huston.
il quarto, zoè di giuseppe varlotta: un solo commento, perchè?

aggiungerei: baricco è sì poetico, ma un po' troppo e troppo a lungo emulo di greenaway con quei raccontatori a mezzo busto, che ricordano anche tante altre cose, da ionesco a matthew barney: insomma, un filino "moda".
the visitor ha una staticità che almeno in parte mi sembra ingiustificata, usata come strumento solo perchè genericamente "adatta" a un tipico film di correttezza interclassista e interculturale. così dopo un po' smette di trasmettere sensazioni e comincia veramente ad annoiare.
choke è uno dei peggiori, dei più pretestuosi; certo non doveva essere semplice fare un film da quel libro di palaniuk... ma allora meglio non farlo affatto. Fincher c'era riuscito meglio, su un testo suppongo analogo: ma lo aveva fatto comunque con una certa fatica e un risultato non proprio esaltante. gregg è un pivello che sembra semplicemente affascinato dal cotè cattivello e trasgressivello di questo personaggiucolo la cui assurdità smuove ben poche corde.
su zoè occorre assolutamente sorvolare; tanto non uscirà, e per una volta non è un danno.

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