martedì 2 settembre 2014

venezia / giorno sei e sette: un piccione seduto su un ramo che riflette sull'esistenza

Vedere film con tante persone di altre nazionalità aiuta molto a capire il cinema italiano: vedere se funziona, se racconta storie universali e se lo fa in un modo universale. Se, per una volta, non parla al "proprio cortile". Questa parentesi è necessaria per contestualizzare la mia visione di due dei film italiani più attesi qui al festival.

Il giovane Favoloso (in concorso) di Martone: il biopic su Leopardi con Elio Germano e un affiatato e notevole cast di attori teatrali piace molto a quasi tutti gli italiani in sala, piaciucchia a Peggy (francese di Annecy, vicino al confine con l'Italia, conosce abbastanza bene Leopardi) e risulta un pappone insopportabile a quasi tutti gli altri (tendenzialmente più si va a nord più risulta indigesto: gli inglesi, i tedeschi, gli estoni, i polacchi -con la simpatica aggiunta di Cathleen, maltese che vive a Londra- escono storditi da quello che per loro è un film televisivo per le scuole. Per non parlare degli olandesi). Ma, ahimè, in Italia siamo, e quindi è doveroso trovare i meriti (che ci sono) del film. La cosa che più mi colpisce (positivamente intendo) è la scelta di raccontare il più pessimista dei poeti attraverso scene e momenti che in qualche modo evocano una forza vitale e "sensuale" di grande potenza: un audio ben curato (non è una cosa banale in Italia…), un'ottima fotografia, una notevole ricerca di luoghi e scenografie che sono scelti con cura e trasudano bellezza e luminosità (e anche quando si fanno cupi, come la parte finale del periodo a Napoli, rimangono estremamente affascinanti). E' cliché dire che l'argomento sia difficile e delicato da trasporre (la poesia / il poeta), come è cliché dire che Elio Germano sia superlativo (sembra un copione già scritto prima ancora di vedere il film): e infatti tutti i critici sembrano dire queste due cose. Sulla prima sono d'accordo, sulla seconda assolutamente no, ma sono certo al 100% di essere l'unico a pensarlo: mentre vedevo il film ho sempre pensato "toh, va: Elio Germano che fa Leopardi" e mai "toh: Leopardi aveva dei bei muscoli tutto sommato" (e mi è sembrato anche molto sopra le righe, ma è pressoché vietato parlare male di Elio Germano, almeno quanto lo sarebbe parlare male della Rohrwacher o di Battiston: tantopiù in questi giorni visto che si è presentato sulla barca con il pugno alzato poco prima di calcare il red carpet). E' un film prevedibile, che non osa troppo e non ha momenti indimenticabili ma è ben fatto e orchestrato, con un'ottima (sebbene molto prevedibile -secondo i miei amici stranieri) colonna sonora: sarà certamente ben recensito in Italia e segnerà un appuntamento di due ore e venti di noia per  tantissimi studenti cui verrà propinato un film su Leopardi (cito l'Hollywood Reporter:
"In Italy, there is a built-in student audience for this respectful handling of a national icon, and Germani’s popularity and persuasively engaging performance should help sell tickets. But with a running time well over two hours, the film will have to battle for audiences offshore after its festival run"). C'è almeno una scena in cui Martone, come si dice in termini molto tecnici "l'ha fatta fuori dal vaso": a un certo punto il Giovane Favoloso (premio per il peggior titolo finora) sogna una gigantesca scultura di terra (la Natura) che gli porge la mano. QUI il trailer.

Il film italiano più atteso da coloro che si autodefiniscono con grande gioia snob-cinefili (di sinistra, ovviamente) è certamente il film di Maresco Belluscone una storia siciliana (sezione orizzonti): molti di questi ancora prima di vederlo lo decantano come il capolavoro degli ultimi dieci anni. Credo facciano male a fare così, non tanto perché non sia un ottimo film (lo è invece) ma perché è un film piccolo piccolo e che proprio in questo ha la sua forza graffiante e grottesca, la sua vena intima e randagia, da cinicoTV: in linea con il (bel) film precedente (e più in generale con tutto il suo lavoro)  Maresco (ho letto 19 volte negli ultimi due giorni la parola "Genio" associata a lui, per la cronaca) realizza un documentario difficile da definire, realistico ma caricaturale, politico (ovvio), divertito ma dolente, in cui la realtà è più grottesca della fantasia e in cui la struttura prende forma per poi distruggersi nei personaggi. A me piace molto ma sono d'accordo con la scelta di Alberto Barbera di non metterlo in concorso ma nella sezione Orizzonti: lo capiamo solo (o al 90%) noi italiani (ma avercene di film così). La colonna sonora pop diegetica ha momenti di alta poesia come QUESTO, quella jazz invece messa a commento delle vicende del protagonista Tatti Sanguineti è fuori luogo a mio avviso. Da vedere insieme o subito dopo o subito prima Io sono Tony Scott.

Italy in a day è un videocollage diretto da Gabriele Salvatores a partire da un'idea produttiva di Ridley Scott, a sua volta basta su un soggetto di Kevin Macdonald: video più o meno amatoriali di italiani dall'alba al tramonto: è un gigantesco inno alla vita con momenti toccanti, altri divertenti, altri patetici. Storie di eroi di tutti i giorni (una dottoressa VIDAS, un medico, ma anche nonni, bambini, ragazzi, fidanzati e fidanzate). Alcune riprese sono "dirette" o "sceneggiate" con un'inventiva e una capacità cinematografica che alcuni registi (Costanzo? Di Maria?) si sognano. Per il resto parlarne male è facile (e in un certo senso anche giusto), ma è letteralmente come sparare sulla croce rossa (sembra un film prodotto dalla croce rossa per la TV, in effetti). QUI il trailer, QUI una recensione più dettagliata.

La zuppa del demonio di Davide Ferrario è un'accozzaglia di interessantissimo materiale d'archivio, colonna sonora composta per l'occasione e frasi di poeti e personaggi illustri sull'idea di progresso tecnologico. Bellissimo titolo, ottima ricerca di materiale d'archivio, ma occasione sprecata: il troppio stroppia rischiando la noia e manca una vera idea registica su cui appoggiare la mole immensa di materiale d'archivio pescato nell'Archivio Nazionale Cinema d'Impresa di Ivrea (fimati da: Olivetti, Fiat, Italgas, Birra Peroni, ENEA e Filmaster).

 

Kanojo dame ga shitteiru (Only she knows it / restauri classici):  contrariamente agli altri anni vedo il primo film classico restaurato solo l'ultimo giorno poco prima di partire: si tratta di un film di Takahashi Osamu, assistente di Yasujiro Uzu per Viaggio a Tokyo (Tokyo story: FILM COMPLETO). La lezione di Ozu ( inquadrature a "altezza sguardo di cane" e il rigore, tra le tante cose) è stata assimilata da Osamu  anche se si tratta qui di un breve film di genere concentrato poco sull'azione e molto sui personaggi. nonostante la durata (63') risulta un pochino prolisso. Sarebbe però interessante vedere altri film di questo regista.

A pigeon sat on a branch reflecting on existence è di gran lunga il "titolo" più bello non solo tra i film in concorso ma tra tutte le sezioni. Il film chiude la trilogia (il primo era Songs from the second floor -2000- premio speciale della giuria a Venezia, il secondo il bellissimo You, the Living)  del grande regista svedese Roy Andersson (poco conosciuto da noi, ha esordito nel 1970 ma realizza pochissimi film, campa con le pubblicità sfogandosi poi con film di un congelato umorismo surreale). Inquadrature di accuratezza e eleganza pittorica sopraffina (il modello è dichiaratamente il Bruegel il Vecchio di Cacciatori nella neve - interessante vedere per esempio QUI come viene "costruita" una scena nei minimi dettagli), musiche leggere e divertenti che lasciano ampio spazio all'ironia e all'autoironia di un autore che osserva in modo entomologico la solitudine dei suoi personaggi stralunati e da teatro dell'assurdo (Vladimiro e Estragone e compagnia bella) senza nessun movimento di macchina e nessun primo piano o piano americano. Sono 39 inquadrature, a volte collegate dai personaggi, a volte collegate da un paesaggio, un locale, una tematica, una musica o un motivo musicale, un sottile legame da trovare o da tralasciare. Non so quanto possa essere utile questa indicazione ma con amici altamente cinefili (Matjaz e Maureen) arriviamo alla conclusione che " è come se Aki Kaurismaki avesse filmato scene di gruppo preparate da Otar Iosseliani". Dopo questo inutile e fastidioso sfoggio di saccenza (il giornalino che viene distribuito in sala non è da meno e dice "immaginate un'opera al fulmicotone dei Monthy Python più iconoclasti diretta da Manoel de Oliveira"), dicevo, dopo questo sfoggio arriviamo però tutti a concordare che dei 103 minuti, almeno 15 si sarebbero potuti tagliare (due scene sono un po' pretenziose anche se non si prendono troppo sul serio). Il titolo (che più ci penso più è meraviglioso) viene richiamato tre volte:
1) all'inizio un signore in una stanza di un museo di scienze naturali (sembra) guarda alcuni uccelli impagliati: uno è un piccione su un ramo
2) a metà film una bambina racconta alla recita di fine anno (forse) una poesia da lei composta su un piccione che medita su un ramo perché è rimasto senza soldi
3) mentre alcune persone alla fermata di un bus discutono sulla possibilità o meno di sentire se un giorno della settimana è mercoledì o giovedì (solo basandosi sulle sensazioni) si sente dall'alto un piccione che tuba
Le scene iniziali (su persone che all'improvviso muoiono) e quella a musical nel bar sono da antologia, ma lungo tutto il film sembra di guardare un'umanità in un acquario dove tutto è a fuoco (come in un quadro fiammingo) ma molto è solo suggerito, indicato, lasciato allo spettatore. “Amo confrontarmi – dice Andersson – con le domande esistenziali attraverso il prisma della banalità... Dopo il neorealismo e il cinema dell'assurdo, cerco oggi di proporre il trivialismo”.
Difficile che venga distribuito in Italia, a meno che non vinca.  QUI il trailer, QUI una recensione del Guardian, e di seguito alcune delle bellissime inquadrature.

 


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