lunedì 10 febbraio 2014

berlinale / giorno cinque: die andere heimat

Dopo poche ore di sonno mi ritrovo in qualche modo al palazzo della berlinale a vedere un film cinese in concorso che inizia alle 9. La sala è mezza vuota e c'è una buona percentuale di stampa cinese.Il fim si chiama Tui Na ed è di Lou Ye.
Di tanto in tanto cinesi di fianco a me ridono per alcuni scambi che a me non sembrano per niente divertenti e allora mi parte la solita triste impotente considerazione: non potremo mai capire I film di lingue a noi totalmente sconosciute anche se sottotitolate in un'altra lingua: un tono, una pronuncia, una sfumatura culturale e in un attimo un dialogo serio ecco che diventa comico (o viceversa). Ovviamente il doppiaggio non è la soluzione,  anzi. Ma mi sale una certa rassegnazione all'incomprensione. Scaccio il pensiero e mi immergo in un film che alterna momenti estremamente poetici a fulminanti accelerazioni di violenza, riuscendo a raccontare e affrescare le storie d'amore,  le sensibilità,  le domande (esiste la bellezza? )e le solitudini di un gruppo di ciechi che lavorano in un centro massaggi gestito interamente da loro (il titolo è tradotto con "blind massage"). Da segnalare le emozionanti musiche di Johansson, le scene di pioggia a scandire il passaggio del tempo e le solitudini,  la recitazione degli attori (quasi tutti ciechi) e alcuni momenti di alta regia. Forse qualche momento drammatico di troppo e qualche utilizzo del fuori fuoco non troppo necessario. 

E' una splendida giornata di sole. Il cielo azzurrissimo non ammette nemmeno una nuvola al suo cospetto e la gente si riversa nelle strade e nei parchi, specchiandosi nei palazzoni nuovi e nelle lenti da sole di altri passanti. Sono le 12.45 e io saluto questo sole per entrare in una sala minore dello zoo palast. Da bravo nerd disadattato arrivo con un'ora e venti minuti d'anticipo e non solo non c'è nessuno in fila ma non c'è nemmeno la fila e nemmeno lo staff della biennale (quando arrivando mi vedono in piedi a immaginarmi una fila mi trattano come un povero ritardato). E' l'unico film barrato nel mio programma come "imperdibile", anche perché l'ho già perso una volta a Venezia lo scorso settembre.


Del resto Die andere Heimat è uno di quei film che uno aspetta da tanto e che nel 90% dei casi poi vede (se va bene) sul computer o (se va benissimo) compra in dvd per menarsela con gli amici che vedranno il cofanetto nel salotto (in questo caso non è necessario vederlo, pare). Il film è presentato in una sezione a parte (chiamata "sguardo sul cinema tedesco") e in realtà è già uscito al cinema qui e in altri paesi europei (in Francia è stato proiettato 120 volte, mi dice con la solita punta d'orgoglio nouvelle vague il mio amico Boris, di Amiens). 
È un film di 4 ore (senza pausa), ed è il quarto della storica serie Heimat, diretta da Edgar Reitz: non si tratta del quarto capitolo in senso cronologico perché è in realtà una sorta di prequel ambientato nell'Ottocento, prima di Heimat 1. Il titolo è from home to home, ma quell'"home" è la traduzione impossibile da riferirsi al tedesco "heimat": casa, patria,  area (fisica, mentale, atemporale) in cui si è cresciuti.
La sala 2 dello Zoo palast è grande ma intima, è tutto rosso che sembra uscito dal set di sussurri e grida di Bergman e faccio anche una foto -sfocata- (con Edgar Reitz sul palco) per farvi capire: sono in un'altra dimensione.
(Se prendete la piantina della sala, tirando le linee dai vari angoli a quelli a loro opposti otterreste una raggiera che si incrocia tutta in un punto centrale: ecco io sono seduto proprio lì.)

Inquadrature di una bellezza rara e momenti indimenticabili (una dei protagonisti che saluta la sua immagine riflessa in uno specchio di casa prima di emigrare in sudamerica / la morte dello zio mentre fila la lana / la fiera di paese / la mamma in mezzo ai campi che respira l'aria buona - e molte altre). E' un film che davvero non può durare meno (e che risucchia completamente nella storia e negli ambienti), ricco di rimandi interni e rime, di poesia e di emozioni, di vita comune e lavoro manuale, con una forza visiva e emotiva rara. E non mancano nemmeno i momenti divertenti e almeno uno (anche grazie a un autoironico cammeo di Werner Herzog) è davvero esilarante.
Ė il capitolo che forse più degli altri andrebbe visto al cinema ed è assolutamente vedibile anche da solo, senza aver visto i precedenti. 
Forse uno dei più bei film che ho visto negli ultimi dieci anni.
amen.
ecco l'immagine della splendida giornata di fuori vista dai vetri del cinema





4 commenti:

Unknown ha detto...

Cameo e cameo ma intanto "Pamela Anderson e Mike Tyson".

francesco ha detto...

mike tyson e pamela anderson...magari sono solo cammei...

Costanza ha detto...

Il trailer è uno dei meno coinvolgenti che abbia mai visto..ma nonostante ciò mi è tornata la voglia di finire di vedere gli altri Heimat :)

francesco ha detto...

ma come? è bellissimo il trailer! uff