venerdì 7 febbraio 2014

berlinale / giorno due: al Grand Budapest Hotel e dintorni

Ci alziamo alle 6.40 per recuperare qualche ambìto biglietto almeno per sabato. Ma appena arriviamo intravediamo una fila spuntare quasi due isolati prima dell'ingresso e decidiamo di andare direttamente nella fila dei reietti (ovvero "altri pass") per sperare di entrare a vedere Jack , film in concorso il cui protagonista è un bambino (nonché figlio della migliore amica della nostra vicina di fila, per dovere di cronaca). E' un film che prende lo spettatore soprattutto per i personaggi e la bravura dei due piccoli protagonisti, nonostante la ripetitività di qualche musica di troppo e di qualche espediente narrativo un po' tirato per le lunghe (per un quarto del film i due protagonisti cercano la mamma e continuano a seguire piste sbagliate e congetture un po' campate per aria): è una storia molto simile ai 400 colpi di Truffaut e allo stesso tempo a Il piccolo fuggitivo di Ray Ashley, Ruth Orkin, Morris Engel. Nel pomeriggio vediamo il piccolo attore a passeggio con la nonna e decidiamo che meriterà il premio come migliore attore. E' un film molto carino comunque, anche se già visto.

Il tempo di uno snack e rientriamo in sala per un bizzarro remake di un film francese (molto bello) Deux hommes dans la ville del 1973 (di un regista dagli alti molto alti e i bassi molto bassi: José Giovanni. tra gli alti segnalo Ultimo domicilio conosciuto): al posto di Alain Delon c'è il bravissimo (ma bizzarro qui) Forest Whitaker (e al suo fianco un vecchissimo Harvey Keitel a interpretare un altro "cattivo tenente"). E' un film (anche questo in concorso) insolito che a me piacicchia ma non ai miei compagni: gli attori recitano distaccati dai personaggi e sul poliziesco della trama originale si innesta una dilatazione spaziale e temporale che più western di così si muore. Una sorta di History of violence asciutta, lenta e per certi versi non incisiva. Sintetizzando è la storia di un uomo che esce di prigione e si trova schiacciato tra un poliziotto che non l'ha perdonato e la malavita che lo rivuole. Trascurabile.

intervallo: nel pomeriggio facciamo un giro al museo del cinema. Se capitate qui andateci, è sempre molto bello e, per gli appassionati di selfie, se ne fanno alcune che prendono un sacco di like su facebook (testato garantito).

Prima di parlare del Grand Budapest Hotel su cui tutti mi stressano dall'Italia (anche gente che non conosco e mi chiama sbagliando numero) parlo del film che ho visto subito dopo: The Dog, documentario nella sezione Panorama Dokumente sul personaggio che ha ispirato il film di Sidney Lumet Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975). Già dal TRAILER si capisce bene di che tipo di documentario si tratta (personaggio molto eccentrico che si racconta in prima persona -molto spazio è giustamente dedicato all'organizzazione della rapina alla banca decisa per pagare l'operazione del fidanzato del momento che si vuole fare donna-  ma anche attraverso interviste a amici, parenti ex fidanzate e fidanzati e molto materiale d'archivio ben orchestrato e diretto). Nella seconda parte la miscela è un po' annacquata e il film si perde in lungaggini non necessarie.

Allora, tocca finalmente a 
è un bel film che passa in un baleno: ritmo serratissimo (più dei precedenti), attori e attoroni e attricissime in parti importanti e in cammei fulminanti, musica di Desplat alla wes anderson, cura maniacale per le scenografie e i dettagli (sembra tutto fatto a mano, come al solito) e riprese alla wes anderson che tendono all'animazione, alla grafica e talvolta alla videoarte, riuscendo a coniugare citazioni più o meno colte del cinema (karel zeman, kubrick o le trou di becker per dirne alcune) con gag al limite del demenziale (gatti lanciati dalla finestra e trovati spiaccicati per terra a pochi centimetri da qualcuno) senza soluzione di continuità. E' un tripudio di colori, montaggio, musiche, tecnica cinematografica (sempre  alla wes anderson, anche se ha rinunciato agli slow motion fabbrica della casa, questa volta), attori bravissimi, trovate visive, gag.... con persino lo schermo che diventa in 4:3 nel racconto dentro al racconto (narrativamente è organizzato a scatole cinesi). 
E' tutta una grande favola che gira attorno ai gestori dell'Hotel del titolo e all'Hotel stesso, e quindi non esiste limite all'immaginazione e all'inverosimiglianza e assurdità di molti snodi narrativi. Anzi forse un limite ce l'ha: è la continua voce narrante (è un film parlatissimo con la voce narrante che racconta di un racconto in cui appare poi una seconda voce narrante). 
In sala c'è tantissima gente ed è bello sentire le risate ai film di wes anderson: c'è sempre gente che ride nei momenti più improbabili in totale asincronia con i vicini.
Alla fine tutti applaudono e si godono la musica dei titoli di coda fino al nero dello schermo e le luci che si accendono. Non me ne vogliano i sempre più numerosi tifosissimi di Anderson, ma se c'è qualcosa di negativo da dire su film (e forse non c'è) è proprio questo essere a tutti i costi  alla wes anderson. Un esempio pratico: il film inizia su un'inquadratura alla wes anderson: il pubblico ride. Non che l'inquadratura faccia ridere di per sé, ma si ride perché si riconosce che è davvero alla wes anderson: è quasi un'autoparodia compiaciuta. Non che sia una cosa per forza negativa eh (anzi ora che la scrivo tutto sommato mi sembra anche una cosa divertente e intelligente), ma alla fine forse un po' rischierà di stancare come giochino. Di certo non a questo giro.
ps la mia menzione d'onore va a un'inquadratura in cui una lunghissima scala di metallo, scorrendo velocissima (ovviamente perfettamente simmetrica al centro dello schermo), si trasforma idealmente in una pellicola cinematografica che passa davanti all'occhio dello spettatore.





ecco una foto delle crape dall'alto del Berlinale palast - proiezione del mattino di Jack (ero alla prima fila della balconata)













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